Il codice, composto da ventidue scenari senza titolo, viene scoperto nel 1880 da Adolfo Bartoli che in seguito lo edita sotto il titolo di Scenari inediti della Commedia dell’Arte. Fino al 1756 faceva parte della collezione di proprietà del bibliografo e bibliotecario Anton Maria Biscioni; oggi, è custodito nel fondo magliabechiano della Biblioteca Nazionale di Firenze. Considerato “più sobrio” rispetto a raccolte precedenti, M. Apollonio non ne ha grande considerazione: si svolge con quell’eleganza di stile che bene sostituisce o fa dimenticare la povertà inventiva. Ma in questa raccolta si adunano canovacci di svariatissime origini e poco o nulla ricevono di impronta originale, serbando il buono o il cattivo senza darvi rilievo o porvi rimedio. L’unico elemento che permette di dare qualche indicazione circa la provenienza del codice risiede nei nomi dei comici indicati in alcuni canovacci: questi si riferiscono a una compagnia di tarda generazione, composta da Lucinda (Lucinda Nasti), l’ignoto servo Stoppino e i celebri attori Domenico Locatelli, in arte Trivellino, e Gradellino (Costantino Costantini), padre del celebre Mezzettino francese. Al suo interno, scenari tardosecenteschi si uniscono a commedie del secolo precedente, pertanto è possibile collocarlo intorno al 1700.Siamo lontani però dalle sperimentazioni che abbiamo visto nella raccolta precedente, “ormai ci si avvia, anche con l’arte scenica, a quel razionalismo settecentesco che è incapace di dominare contemporaneamente molti temi e che ama le fragili e parche compostezze”. La raccolta mostra di avere 6 pagine introduttive, presumibilmente aggiunte in tempi più recenti, e 60 pagine finali bianche (non numerate). La pagina Commedie all’improvviso, anticipa i tre indici che mostrano l’elenco elegante e ordinato dei canovacci con la numerazione della pagina di riferimento. Guardando al testo, benché la scrittura è senza dubbio molto elegante da un punto di vista grafico, la divisione di atti e opere è leggermente confusa per il lettore: le linee che dividono le parti infatti tendono a rendere il tutto troppo fitto per una lettura- per così dire- chiara. Curiosa è la sezione dedicata agli oggetti di scena dal titolo Robe necessarie da riferirsi all’oggettistica indispensabile per l’allestimento.